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Femminismi e antispecismi: un’alleanza necessaria [di Ninel]

Abstract:

Le lotte antispeciste e femministe vengono spesso considerate separate, ma è davvero così? Entrambe nascono da un’unica matrice di oppressione: il dominio patriarcale, che impone gerarchie e trasforma i corpi – umani e non – in oggetti da sfruttare. La mascolinità tossica non si limita al controllo delle donne, ma si estende agli animali. Si prenda come esempio il consumo di carne: questo viene elevato a simbolo di potere e virilità; mangiare carne diventa un’affermazione di forza, mentre i cibi vegetali, considerati meno nutrienti, vengono associati alla femminilità. Ma non è forse questa una costruzione culturale che serve a mantenere lo status quo?

Il linguaggio è il primo strumento di questa oppressione. Le donne vengono animalizzate e gli animali femminilizzati, creando un intreccio simbolico che giustifica e rafforza la subordinazione di entrambi. Parole come “vacca” e “cagna” rappresentano l’intersezione tra sessismo e specismo, denigrando sia le donne che gli animali attraverso un lessico che riduce entrambi a esseri inferiori. Questo processo si manifesta anche nella manipolazione linguistica che cela la violenza sugli animali: non mangiamo “animali morti”, ma “bistecche” e “prosciutto”. La trasformazione semantica dei corpi in prodotti alimentari è un atto simbolico che dissocia il consumatore dalla realtà della sofferenza e della morte, proprio come avviene nei discorsi che minimizzano o normalizzano la violenza sulle donne.

Ma il controllo non è solo discorsivo: è materiale, fisico, brutale. Nel capitalismo patriarcale, il corpo diventa merce. Le donne subiscono sessualizzazione e sfruttamento proprio come le femmine non umane vengono violentate, ingabbiate, costrette a gravidanze continue e private della loro maternità e dignità. Il loro valore si esaurisce con la loro capacità di produrre: quando smettono di essere “utili”, diventano carne da macello. Non è lo stesso schema con cui il patriarcato tratta le donne, sfruttandole e poi scartandole quando non rientrano più nei canoni imposti?

La violenza segue sempre lo stesso copione: si sottomette l’altro, lo si immobilizza e lo si priva della sua identità per esercitare il dominio. Gli animali vengono considerati privi di coscienza e sentimenti per giustificarne lo sfruttamento, così come le donne vengono relegate a ruoli subordinati. Ma possiamo davvero definirci femminist* se ignoriamo queste connessioni? Machismo e Specismo sono due facce della stessa oppressione. Accettarne uno significa legittimare entrambi. Non esistono gerarchie tra gli oppressi: chi sceglie di non mettersi in discussione, perché non direttamente toccato da una forma di oppressione, diventa complice del sistema che lo alimenta. Per questo, i Femminismi devono essere Antispecisti e gli Antispecismi devono essere Femministi.

Solo smantellando ogni forma di dominio potremo arrivare alla vera liberazione. Continua a leggere

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Penso dunque sono, o l’esistenza è qualcosa di più? [di Agattina]

Ideologia e conflitto tra Descartes, Hobbes e Spinoza “Ora non ammetto” scrive René Descartes nelle Meditazioni metafisiche “se non quanto sia vero necessariamente: sono dunque, precisamente, soltanto una cosa che pensa, e cioè una mente, o un animo, o un … Continua a leggere

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Università Neoliberale – L’incubo da indigestione [di Zia Polly]

Sabato 22 marzo 2025, nel corso del convegno “Quale università? Quale ricerca? Quale sapere? Per quale società?” – organizzato da Cambiare Rotta presso la facoltà di Ingegneria della Sapienza – si sono levate voci cariche di delusione, rabbia e frustrazione, ma anche di speranza. … Continua a leggere

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«Al lupo al lupo»? Caso Minghetti e clima repressivo: I tempi cambiano e qualcuno se ne accorge. Ma è davvero in atto una stretta repressiva o stiamo sprecando fiato? [di Tito R. e Collettivo Minghetti]

Al lupo al lupo? Caso Minghetti e clima repressivo: i tempi cambiano e qualcuno se ne accorge. Ma è davvero in atto una stretta repressiva o stiamo sprecando fiato? Martedì 18 marzo: Liceo Minghetti occupato. Mercoledì 26 marzo, mattina: Sui … Continua a leggere

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Documento contro le Nuove Indicazioni Nazionali di Valditara

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«No! Questa cartolina rosa bisogna strapparla!» la rivolta antimilitarista del “Non si parte” e la figura rivoluzionaria di Maria Occhipinti – di Gt Ung

Chi scrive è nato e cresciuto in Sicilia, poi trapiantato a Bologna: un cervello in fuga, certo, ma di poco conto. Questa precisazione è necessaria per giungere alla seguente premessa: la Resistenza è un fenomeno che per noi siciliani è … Continua a leggere

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Parallelismi: Homo Sacer e riconquista fascista in Libia

di Tintigrrr L’homo sacer, una persona posta al di fuori della giurisdizione umana senza che trapassi in quella divina. La violenza procuratagli non costituisce sacrilegio, rappresenta quindi a tutti gli effetti un’uccisione non sanzionabile che chiunque può commettere nei suoi … Continua a leggere

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Dentro la colonia: Frantz Fanon, il lavoro a Blida e le considerazioni etnopsichiatriche

Di Emporio Ivankov E’ il 1954 quando Frantz Fanon accetta l’offerta di un posto presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di Blida, fiore all’occhiello dell’Algeria francese e roccaforte di quell’etnopsichiatria  che da quasi un secolo forniva legittimazione (pseudo)scientifica all’occupazione imperialista. Sarà … Continua a leggere

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2025: 1914, 1939 o 1950?

Analogia e ripetizione, guerra e trasformazione Di Gervasio Chi scrive non ha mai sopportato l’utilizzo aforistico della formula “la storia si ripete”: l’esempio da manuale della frase fatta per ogni evenienza, apparentemente piena di significato, nella sostanza un semplice motto. … Continua a leggere

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Comportamento all’obiettivo: perdere la faccia

Non troppi anni fa un treno mi portava dall’estremo sud della Svizzera verso il nord, oltre le Alpi, nel Canton Berna. Dal finestrino vedevo i campi coltivati restringersi, le pianure farsi valli, le foreste di conifere sostituire i boschi di latifoglie e le Prealpi mutare in massicci granitici. Anche le mie preoccupazioni si facevano più grandi. Avrei cominciato a breve il servizio militare.

In questo articolo propongo una riflessione sulla violenza e sui ricordi, basata sulla mia esperienza durante la leva e su quella di altri ragazzi che, come me, all’ultimo anno di liceo furono reclutati e incorporati nell’esercito.

Bisogna parlare di eserciti adesso perché la situazione lo richiede con urgenza. Essi sono un’incubatrice della violenza e del senso del possesso, che vengono insegnati attraverso pratiche ripetute giornalmente, rigide, martellanti, subdole. Qui si produce la guerra. Il perimetro di cemento armato e filo spinato che circonda le caserme e le piazze d’armi non divide soltanto quello che appartiene all’esercito da quello che è invece civile, delimita anche due mondi: uno parlabile e uno che va taciuto. Proverò in queste pagine a farvi entrare là dentro, tra piazze d’armi e villaggi d’esercizio, d’inverno, qualche anno fa. Continua a leggere

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