Al lupo al lupo?
Caso Minghetti e clima repressivo: i tempi cambiano e qualcuno se ne accorge. Ma è davvero in atto una stretta repressiva o stiamo sprecando fiato?
Martedì 18 marzo: Liceo Minghetti occupato.
Mercoledì 26 marzo, mattina: Sui giornali appaiono notizie di denunce e sei in condotta per 12 studenti. Restiamo completamente all’oscuro per tutto il giorno, non viene pubblicata nessuna circolare.
Mercoledì 26 marzo, pomeriggio: organizziamo un’azione davanti alla nostra scuola per ricevere chiarezza sui temi. Il Preside non dà risposte.
Giovedì 27 marzo: i genitori convocano autonomamente una riunione, alla quale partecipano in più di 150. Indiciamo un appello alla cittadinanza per ritirare le sanzioni.
Venerdì 28 marzo: cogliamo l’opportunità e leggiamo un comunicato alla fine di uno spettacolo teatrale. Raccogliamo sempre più consensi.
Sabato 29: l’appello raggiunge le 6500 firme. Arrivano lettere in sostegno da diverse realtà.
Martedì 1 aprile: chiamiamo una conferenza stampa di fronte al nostro Liceo.
Martedì 8 aprile: raggiungiamo le 15.000 firme.
Giovedì 10 aprile: si concludono i Consigli di classe straordinari. Due studenti vengono sanzionati, gli altri 5 assolti. Non ci è ancora dato sapere chi di noi ha ricevuto la denuncia.
L’azione forte che abbiamo portato avanti come Collettivo Minghetti, la scelta di occupare il nostro Liceo, è il grido di rabbia verso quella che il ministro Valditara svende come la “scuola del futuro”: scorre davanti ai nostri occhi un fiume di bugie di fronte al quale non possiamo più stare in silenzio. Una linea, quella Valditara, volta unicamente all’inasprimento della divaricazione sociale, e che a noi, più che del futuro, pare solamente essere la perfetta rappresentazione di un presente reazionario e classista.
Accanto alla scuola di Valditara, con la riforma 4+2 dei tecnici-professionali, l’alternanza scuola-lavoro, ora PCTO, vediamo un piano agghiacciante di riarmo europeo, che sarà sostenuto da un fondo di 800 miliardi finalizzati alla spesa bellica e conseguente taglio all’istruzione. A seguito di un lungo percorso che ci vede come protagonisti in scioperi, azioni, manifestazioni e mobilitazioni studentesche, abbiamo agito in maniera forte, netta. Non è la prima volta che succede, nella nostra scuola. Non è la prima volta che gli studenti portano la politica nelle mura del Liceo, non è la prima volta che si confrontano, che mostrano sdegno e rabbia. Eppure, qualcosa è andato diversamente. Denunce, consigli di classe straordinari, sospensioni. Una sola parola: repressione.
Questa, troppo spesso nominata distrattamente e accompagnata da riflessioni prive di reale riscontro, si è invece eretta e scagliata in tutta la sua concretezza su un gruppo ristretto di circadieci studenti, ritenendo giusto e doveroso che fungessero da exemplum agli altri di noi presenti durante le giornate di occupazione.
Le decisioni del Preside, lo sappiamo, creano un sentiero di briciole che conduce alle porte del Ministero: premiando la soggettività, annientando chi alza la testa, zittendo le voci fuori dal coro. La barbarie consumatasi nell’ecosistema scolastico in cui viviamo si è plasmata in maniera proporzionale, nella forza e nell’entità, all’ambiente in cui è stata esercitata: riteniamo infatti che questo sopra citato non sia un episodio da analizzare in maniera acritica e sradicata dal contesto politico attuale, bensì come un figlio sano del nostro tempo, collocato naturalmente, come un tassello di puzzle, nella scena politica. L’astrazione quindi è doverosa per annoverare l’episodio della nostra scuola in una rete più ampia di politiche autoritarie e repressive, in un periodo storico dove si percepisce un cambiamento di tendenza nei rapporti fra il governo e i cittadini.
Ciò che abbiamo vissuto è solo l’eco di una politica che mina le piazze e la libertà del dissenso del nostro Paese.
La maggior parte di noi, durante i pomeriggi di fermento, ha assistito al becero spettacolo del dialogo fra le istituzioni scolastiche e la componente studentesca: l’ossimoro chiaro fra le rivendicazioni estremamente concrete del collettivo e le risposte vaghe e prive di sostanza del Preside, che più volte ha trasformato il colloquio in una vera e propria interrogazione su temi di cittadinanza attiva, sono state l’esempio lampante di come la cultura oggigiorno diventi, per la classe dirigente, un mezzo per tarpare le ali e chiudere la bocca. Il sapere non è più funzionale ad emancipare e formare individui verso una conoscenza di valore e una coscienza critica personale e collettiva, ma a umiliare sul piano strettamente individuale. Propone concorrenza, richiede altissima preparazione e stanca profondamente. Inoltre, lo abbiamo visto con numerose dichiarazioni del Premier Giorgia Meloni, la storia e l’insegnamento che essa porta con sé possono essere dirottati, falsificati, modificati, plasmati, ottenendo un’informazione liofilizzata, errata e marginale, che diseduca e demoralizza profondamente.
La verità è che il nemico che ci si pone davanti, come è stato detto, non è sostanza ipotetica, metafisica, lettere in fila una dietro l’altra, aeree speculazioni, ma ha le unghie per ferire, i denti per strappare. La libertà che ci viene insegnata come sostantivo femminile singolare si radica nella Costituzione, ma non assume nessun valore nell’impostazione puramente teorica degli articoli (non fraintendiate, importantissimi), quanto più nella sua reale applicazione. Dandole concretezza, questa si spinge nelle strade, nelle menti, nelle case, nei teatri e nella televisione.
Il significato astratto di quest’ultima tuttavia è debole, labile, può essere inquinato, modificato, distorto. E va sorvegliata, la libertà, perché è bene prezioso. Con essa torna il senso forte di appartenenza alla nostra democrazia, torna il dissenso come esaltazione di quest’ultima, e soprattutto emerge abbagliante la verità: la libertà, raccolta sui monti, sudicia, ferita, da partigiani della nostra età, li ha visti sacrificati ad una guerra che non avrebbero voluto, ma per la quale non esisteva altra soluzione. Giovani di diciassette, diciotto, venti anni hanno liberato il nostro paese, perché “se noi ci accontentassimo della Libertà in senso astratto, la Libertà diventerebbe una conquista fragile e poi non sarebbe goduta da tutto il Popolo Italiano, perché non può considerarsi libero.” (S. Pertini)
Abbiamo il dovere di essere forti, il dovere di lottare e il dovere di conoscere, sia se il coro sarà flebile, sia se il coro (ci auspichiamo) farà crollare le misere pareti di questa ormai traballante democrazia.
Collettivo Minghetti
Queste le parole e le riflessioni del collettivo studentesco del Liceo Minghetti. Per spiegare i motivi dell’indignazione che questa vicenda ha suscitato in una significativa porzione della comunità civica bolognese -il numero di firme raccolte parla da sé- bisogna chiarire il contesto nel quale i fatti si sono svolti: il Liceo Minghetti è uno dei due licei classici di Bologna ed eredita una tradizione d’impegno politico di sinistra e di ampia partecipazione studentesca. La lunga storia delle sue occupazioni mostra la tendenza a una ricomposizione gestita internamente, dal corpo docenti e dagli studenti insieme, adottando pratiche di auto-disciplina.
Come riportato dal Collettivo Minghetti, quest’anno la reazione del dirigente è stata invece di minacciare sospensioni, 6 in condotta e denunciare alcuni studenti, scelti in modo arbitrario, a titolo individuale. Gli sviluppi della vicenda, con l’agitazione degli studenti e i tempi necessari dei consigli di classe (unico soggetto dotato di facoltà sulle sanzioni disciplinari, come disciplinato dal DPR 249 del 1998 e come spesso si dimentica), hanno visto solamente due studenti sospesi. Sulle denunce rimane ancora un alone di mistero: il preside non ha comunicato nulla né pubblicamente né ai diretti interessati.
Le conseguenze dell’occupazione di quest’anno, a prescindere da come sia andata a finire tra denunce e sanzioni disciplinari, significheranno condizioni diverse per gli studenti degli anni prossimi: dovranno misurarsi con un precedente ingombrante, di evidente severità, e occupare richiederà, oltre che coraggio in più, un salto di consapevolezza.
Provando a predire gli sviluppi, si può pensare che forse discuteranno di più, troveranno argomentazioni più valide a sostegno delle loro idee e della scelta dell’occupazione come manifestazione del dissenso. Misurandosi con limiti più severi sapranno, forse, formare consapevolezze radicate o compiere scelte radicali…forse, insomma, capiranno come confrontarsi con l’autorità in maniera seria.
Forse succederà questo, o forse avranno semplicemente paura: della denuncia, della sospensione, di perdere treni e di rischiare troppo. “Non romperanno più i coglioni”. Passeranno meno tempo riuniti in collettivo e sceglieranno più spesso di divertirsi, invece che pensare alla politica. Forse, quindi, saranno innocui e disciplinati. L’equilibrio tra questi esiti è fragile e imprevedibile. Le motivazioni che hanno guidato dirigente, professori e studenti in questa vicenda difficili da giudicare. Si potrebbe ridurre tutto al gioco delle parti tra studenti e preside, all’invadenza dei genitori, all’irrequietezza degli studenti. Eppure, vi sono alcuni elementi, alcuni fatti, che sembrano suggerirci la necessità di allargare la prospettiva oltre la dimensione specifica del Liceo Minghetti e prendere sul serio quello che è successo. Alcuni elementi suggeriscono infatti la costruzione intenzionale d’un ambiente repressivo e autoritario, con precisi strumenti giuridici e con precise scelte politiche.
Per quanto riguarda il mondo della scuola, si citano due azioni dell’operato di Valditara: una circolare del febbraio 2024 e il decreto-legge d’ottobre 2024. Questi due testi, diversi nel valore e nel merito, sono significativi proprio perché in modi diversi mirano allo stesso obiettivo, che è l’inasprimento del disciplinamento e delle misure sanzionatorie nei confronti degli studenti. Testo privo di forza di legge, la circolare amministrativa si propone di indirizzare l’operato dei funzionari, e la nota 485 del 5 febbraio 2024, invitava a verificare estremi per le denunce, calcolare i danni economici e farli pagare agli studenti responsabili.
Il disegno di legge 1830, approvato il 25 settembre 2024 e conosciuto con il nome del ministro, oltre a introdurre il voto numerico per la condotta e l’automatica bocciatura con il 5, fondava l’impegno politico di provvedere “alla revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti” al fine di “ripristinare la cultura del rispetto, di affermare l’autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche… di rimettere al centro il principio della responsabilità e di restituire piena serenità al contesto lavorativo degli insegnanti…”. Pur prendendo i fini in buona fede, il senso delle invocate culture di rispetto e autorevolezza ha tutt’altra origine che nella disciplina delle valutazioni del comportamento, riformata o inasprita quanto si vuole.
È invece più recente la promulgazione con decreto-legge delle discusse norme sulla sicurezza. Dopo più di un anno di discussione parlamentare, mobilitazione di membri della società civile e riscontri costituzionali dal Quirinale, è stata infatti votato in consiglio di ministri il D.L. 48/2025. Modo e merito dell’operazione sono discutibili e pericolose. Per il modo, c’è chi ha parlato di “golpe burocratico”: come minimo è stato un gesto autoritario di governo. Per il merito, e dunque per il contenuto della legge, nonostante siano stati accolti i riscontri di possibili incostituzionalità del Presidente della Repubblica, è rimasto l’impianto autoritario e repressivo, tra fattispecie di reato nuove e inasprimento delle sanzioni per reati già esistenti. Si può prendere ad esempio la novità della “occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio altrui” e l’inasprimento delle sanzioni per deturpamento o imbrattamento di “beni mobili e immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche”. Non potendo citare e analizzare in questa sede ogni articolo, si lascia a titolo riassuntivo la citazione dell’associazione Antigone, che lodefinisce “il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”. E non possiamo non notare che è in questo contesto che si rende possibile la scelta indubbiamente repressiva e la politica di imposizione della disciplina da parte del dirigente d’una scuola tradizionalmente “politicizzata” e abituata all’auto-disciplina nei casi d’occupazione.
Insomma, succede che un preside prenda scelte appropriate all’aria, viziata dalle precise scelte politiche di cui si scriveva poc’anzi, che gli viene detto di respirare e di far respirare. E quindi si ritorna alla domanda iniziale: stiamo sprecando fiato? Stiamo perdendo tempo a parlare di questi episodi? Stiamo esagerando fatti normali, abituali, e delle scuole e della politica parlamentare italiana? Assuefatti e disorientati, potremmo credere che sia così.
D’altronde, lo squilibrio di potere nelle dinamiche politiche a favore del governo e l’adozione massiccia di strumenti legislativi d’origine esecutiva sono prassi da anni. D’altronde, la prassi punitiva degli studenti che “sbagliano” rientra tra i compiti “educativi” delle scuole da tempo immemore. Forse, in fin dei conti, non sta accadendo nulla di grave e le cose che succedono in questi giorni sono le stesse cose che sono sempre successe.
Forse, quindi, stiamo inconsapevolmente mettendo in scena la rappresentazione della favola “al lupo, al lupo”.
Nell’incertezza di questi dubbi, che è bene tenere sempre vivi in quanto insuperabili strumenti legittimanti critiche convinte e radicali, l’unica chiave di volta sembra essere l’affidamento ai fatti, osservati, valutati e analizzati in una prospettiva più ampia e critica possibile. E i fatti che abbiamo brevemente considerato sono da intendersi come particolarmente gravi sotto due prospettive simili e complementari, cioè sia perché significano un cambiamento, sia perché ne rendono possibili altri.
La mortificazione del dialogo parlamentare e democratico avvenuta con la decretazione d’urgenza delle nuove norme di sicurezza significa un cambiamento sia nella forma, e dunque nei modi della legislazione, che nei contenuti della legge. Infatti, se non è certo la prima volta che si adotta la decretazione d’urgenza per superare un’impasse parlamentare, tale scelta, legittima, sembra assumere inaudita e inedita gravità quando tronca un lungo e ricco dialogo democratico tra opposizioni, maggioranza, membri della società civile e Quirinale.
E, prendendo un esempio dai tanti contenuti del decreto- legge, se non è certo una novità la difesa dell’operato delle forze dell’ordine da sanzioni e procedure, lo è l’istituzione di un credito di diecimila euro a sostegno delle spese legali d’ogni membro delle forze dell’ordine che si trovi sotto processo, per ogni grado di giudizio.
Dunque, ciò significa innanzitutto un cambiamento delle cose, perché si è mortificata ulteriormente la prassi parlamentare e perché si è scritta una nuova legge, e poi che ne sono resi possibili altri, perché si stabilisce un precedente e si dota di nuovi e più sicuri strumenti la prossima- potenziale- stretta repressiva o autoritaria.
Fatte le dovute proporzioni, la dinamica dei fatti e delle potenzialità è simile a livello nazionale e bolognese, cioè sono simili le vicende della nuova legge sulla sicurezza, il modo in cui è stata promulgata e le sue conseguenze certe e possibili, e la punizione e il disciplinamento del preside in seguito all’occupazione del Liceo Minghetti, per il modo autoritario in cui è stata gestita e per le sue conseguenze certe e possibili.
E qui sta il senso di questo commento, che vuole essere una nota a margine di alcuni degli ultimi eventi politici e di cronaca. Partendo dalla considerazione che siano in atto dinamiche repressive e autoritarie, più o meno evidenti e pericolose a seconda della sensibilità dell’osservatore, risulta sempre più necessario interrogarsi e dubitare, riflettere e analizzare, scrivere e discutere senza paura di sprecare fiato.
È necessario infatti riscaldare la voce, affinarla e renderla più arguta, prepararla insomma, perché pure accettando che di lupi veri e propri ancora non ce ne sono, è possibile che ce ne saranno, in un futuro molto prossimo. Ce lo dicono i fatti: più o meno consapevolmente, si sta preparando il terreno ai lupi di domani. In conclusione, si propongono le calzanti parole di Anna Cocchi, presidentessa ANPI Bologna, pronunciate in Piazza del Nettuno per celebrare l’ottantesimo Anniversario della Liberazione: “Non è vero che non cambia mai nulla. Le cose stanno cambiando. E in peggio”.
A tutti noi notarlo e farlo notare.